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CI SALVEREMO DAL RISCALDAMENTO GLOBALE?
Pinchera A.
Laterza , 2004
202 pagine, bianco/nero, no illustrazioni,
cop. in brossura, dim. 11 x 18 cm .
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UN ESTRATTO


Introduzione

Pianeta Terra, 2020. L'emisfero boreale è sempre più freddo: in Europa, le temperature sono rapidamente scese di 3,5 gradi rispetto alla media, e di 2,8 nella costa orientale degli Stati Uniti. Nell'area settentrionale del vecchio continente le precipitazioni sono diminuite del 30 per cento e il clima sembra siberiano. Iceberg appaiono in Portogallo. Violente tempeste sembrano ormai essere la regola: una mareggiata particolarmente forte ha distrutto le dighe dell'Olanda, e ora città costiere come l'Aja sono invivibili. Nel frattempo, siccità prolungate stanno colpendo le principali regioni agricole del mondo e gli stati meridionali degli Stati Uniti. Qui, i fortissimi venti causano tempeste di sabbia e l'erosione del terreno, come durante i tristi anni del Dust Bowl. In Cina la situazione è ancora peggiore: l'ampia popolazione e l'alta domanda di cibo la rendono particolarmente vulnerabile al clima che cambia, e le piogge monsoniche la colpiscono senza tregua causando alluvioni e devastazioni. E nelle stesse condizioni sono altre parti dell'Asia e dell'Africa orientale. Gran parte del Bangladesh è stato sommerso dal mare in crescita, mentre nazioni già molto divise al loro interno - come India, Indonesia e Sud Africa - non riescono a mantenere l'ordine di fronte ai cambiamenti in corso. Giappone e Australia se la cavano meglio, soprattutto la seconda visto che questa ondata di trasformazioni colpisce più l'emisfero boreale di quello australe. Ma è tutto il pianeta a soffrire, e la sua “capacità di carico” - l'abilità cioè di sostenere la vita umana - è severamente danneggiata.
Che cos'è? Il soggetto di un film di Hollywood? La profezia apocalittica di un ambientalista? Sbagliato, si tratta di un serissimo rapporto per il Pentagono - An Abrupt Climate Change Scenario - realizzato da Peter Schwartz e Doug Randall, dell'istituto di analisi Global Business Network. Schwartz, consulente della Cia, già capo della pianificazione del gruppo petrolifero Royal Dutch/Shell, è un futurologo tra i più stimati, collaboratore di Steven Spielberg per Minority Report e autore di Inevitable Surprises: Thinking Ahead in a Time of Turbulence. Ma questo rapporto è una cosa speciale. Innanzitutto per il nome che sta dietro l'incarico: Andrew Marshall - 82 anni, soprannome Yoda, come il maestro Jedi di Guerre stellari -, capo dell'Office of Net Assessment. Marshall è una leggenda del Pentagono, uno di quegli esperti i cui pronunciamenti hanno sempre grande influenza sulle strategie di difesa americane: sua è l'idea dello scudo stellare, sue le ricerche sulle armi “intelligenti”. Nel 2002, ha letto uno studio della National Academy of Science nel quale gli scienziati arrivano alla conclusione che le attività umane potrebbero determinare improvvisi cambiamenti climatici. Non un lento riscaldamento o una graduale caduta verso condizioni glaciali, ma un rapido, innavvertito mutamento. Un salto da uno stato climatico a un altro, con conseguenze tutte da indagare. Da qui l'idea di un rapporto per studiare le implicazioni di questo scenario per la sicurezza Usa. Ma anche quell'avvertenza in prima pagina: «Lo scopo di questo rapporto è immaginare l'impensabile, premere sui confini dell'attuale ricerca sui cambiamenti climatici».
Schwartz e Randall, in effetti, non si limitano a consultare l'immensa bibliografia. Parlano con gli scienziati, chiedono loro di raccontare quel che sanno, anche ciò che evitano di esprimere in pubblico. Il risultato è che l'ipotesi di un cambiamento improvviso non è da escludere: «Indizi crescenti suggeriscono che il sistema oceano-atmosfera che controlla il clima globale può saltare da uno stato all'altro in meno di un decennio». I climatologi hanno iniziato a interessarsene da quando l'analisi di alcuni indicatori nei ghiacci polari ha dimostrato che in passato variazioni delle temperature si sono verificate a velocità impressionanti. L'attenzione è concentrata su un rapidissimo raffreddamento del clima, avvenuto circa 8.200 anni fa, e sul cosiddetto Younger Dryas, un episodio glaciale durato poco più di un millennio, a partire da 12.700 mila anni fa. Il motivo di preoccupazione è legato alla teoria considerata la più plausibile per spiegare simili eventi. L'ipotesi è che acque dolci provenienti dalla fusione dei ghiacci e maggiori precipitazioni - effetti di una crescita delle temperature - modifichino la salinità e la densità delle acque del Nord Atlantico, interrompendo così la circolazione di quelle forti correnti calde, provenienti dai tropici, che riscaldano l'Europa settentrionale e le coste orientali americane. I dati lo confermano: prima di quelle brusche svolte verso il freddo, paradossalmente, le temperature erano in aumento. Proprio come oggi. E oggi come allora, scrivono i due analisti, gli effetti del caldo si fanno sentire anche sulla circolazione oceanica: molte osservazioni, infatti, «documentano come l'Atlantico settentrionale stia perdendo salinità in modo crescente a causa dei ghiacciai che si fondono, delle precipitazioni in aumento, delle correnti fredde, diventando sostanzialmente meno salato rispetto ai quarant'anni passati».
Supponiamo quindi che la storia si ripeta, a partire dal 2010. Bene, gli scenari dell'inizio sono una descrizione di quanto potrebbe avvenire verso il 2020. Ma non è tutto. Sotto la spinta dei milioni di profughi ambientali, i due autori del rapporto immaginano gli Usa trasformati in una fortezza per difendere le proprie risorse dall'assalto di masse provenienti dal Messico, dal Sudamerica, dai Caraibi. Allo stesso modo, l'Europa occidentale e meridionale sarebbe sotto la pressione degli emigranti di Scandinavia e Africa del nord. Potrebbe scoppiare un conflitto tra Messico e Usa, qualora questi ultimi decidessero di rinnegare il trattato che dal 1944 garantisce ai messicani l'acqua del Fiume Colorado. L'accesso all'acqua diventerà materia di conflitto, così come lo sfruttamento di Nilo, Danubio, Amazzonia. Spagna e Portogallo sono destinate a combattere per i diritti di pesca (in crisi, naturalmente).
E anche questo è niente. Come la storia dimostra, quando la scelta è tra la carestia o la razzia, gli esseri umani scelgono la seconda. Immaginate i paesi dell'Europa orientale invadere la Russia, la cui popolazione è in declino, per mettere le mani sulle sue riserve di energia e minerali. Oppure nazioni dotate di atomica, come India, Pakistan e Cina, scontrarsi ai confini su questioni come i rifugiati, l'accesso ai fiumi comuni, le terre fertili. La proliferazione militare, sostengono Schwartz e Randall, sarà inevitabile. Con le riserve di petrolio sotto stress, i costi del barile in crescita, molti paesi si rivolgeranno all'energia nucleare. È in questo modo che Giappone, Germania, Iran, Egitto - e non solo loro - possono sviluppare l'atomica, in uno scenario di tensione crescente, con alleanze inedite, con Cina, India, Pakistan, Israele che potrebbero essere tentate di usare la bomba per primi. Il mondo sarebbe un posto enormemente più insicuro.
Ho mentito. Sebbene i precedenti siano effettivamente gli scenari tracciati per il Pentagono, il nuovo kolossal-catastrofico L'alba del giorno dopo - diretto da Roland Emmerich, regista di Indipendence Day e Godzilla - narra la stessa storia: il riscaldamento globale che determina cambiamenti in serie del clima mondiale fino all'interruzione della Corrente del Golfo, con l'effetto finale di spingere l'emisfero settentrionale verso un freddo glaciale. E il tutto nel giro di brevissimo tempo. Ispirato al best seller Tempesta globale, di Art Bell e Whitley Strieber, L'alba del giorno dopo ha l'attendibilità scientifica di un'opera di fiction, ma il pregio di poter rappresentare con dovizia di effetti speciali l'impatto dei cambiamenti climatici, in un tripudio di uragani, tempeste, inondazioni, siccità, incendi e l'allucinazione di una New York stretta in una morsa di ghiaccio. Chiunque esca dalla sua visione non può fare a meno di chiedersi se è questo il futuro che ci aspetta, se l'umanità non stia andando verso la catastrofe con l'aggravante della consapevolezza.

È fin troppo facile vedere nel personaggio del Presidente degli Stati Uniti, inutilmente messo in guardia dagli scienziati, il profilo dell'attuale titolare della Casa Bianca. George Bush ha più volte espresso dubbi sulla reale consistenza dell'allarme clima, invocando l'incertezza scientifica e arrivando a ripudiare lo strumento che il mondo si è dato per combattere il riscaldamento globale, il Protocollo di Kyoto. Così, la rivelazione del rapporto del Global Business Network - avvenuta all'inizio del 2004 da parte del settimanale americano Fortune -, condita da affermazioni secondo le quali i cambiamenti climatici possono fare più danni di Osama Bin Laden (e sappiamo cosa significhi il terrorismo per gli Usa), è stata salutata da titoli a sensazione: «Il Pentagono smentisce Bush», «Il clima ci distruggerà tutti», «Il cielo sta cadendo».

Ma cosa c'è di vero in queste visioni apocalittiche? Verrebbe voglia di liquidare tutto, affermando che molto difficilmente tali scenari si realizzeranno. E per fortuna sembra che sia così, almeno nel breve periodo. Tuttavia, qualcosa sta accadendo e non abbiamo dovuto attendere né il Pentagono né tantomeno Hollywood per rendercene conto. Le temperature globali sono in crescita da un po' di tempo a questa parte, sempre nuovi record vengono battuti, in un moltiplicarsi di anomalie e bizzarrie meteorologiche. È stata anomala, per esempio, l'estate del 2003, quando una bolla di caldo e siccità si è impossessata dell'Europa, provocando solo al settore agricolo danni stimati in oltre 10 miliardi di dollari e la morte di circa 21 mila persone (35 mila secondo altre stime), in Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Gran Bretagna. I ghiacciai alpini si sono fusi due volte più velocemente rispetto al record precedente, e incendi hanno devastato le foreste europee. Contemporaneamente, in agosto, le acque del Mediterraneo hanno raggiunto temperature fino a 5-6 gradi sopra la media del periodo, con valori spesso oltre i 32 gradi, tanto da spingere alcuni giornali a parlare di “rischio uragani” (che in effetti si formano ai tropici quando le acque superano i 26 gradi).

Ma il 2003 ha messo in ginocchio anche la Cina, dove l'esondazione dei fiumi Huai e Yangtze ha spazzato via 650 mila case, e il Midwest degli Stati Uniti, con una serie di tornadi che ha provocato distruzioni per 3 miliardi di dollari. L'India, invece, ha subito prima un'ondata di freddo, e poi - insieme a Pakistan e Bangladesh - ha visto le temperature lambire i 50 gradi. Molto sopra la media, sostiene l'Organizzazione meteorologica mondiale, sono stati i 16 uragani che si sono sviluppati nell'Oceano Atlantico, mentre al Polo nord grande preoccupazione ha destato la drastica riduzione della banchisa artica.

Insomma, cronache di ordinario disordine climatico. Ordinario perché per quanto le anomalie siano una componente essenziale del clima (è la media quella che poi conta...), le osservazioni da un lato e gli studi più approfonditi dall'altro indicano che il sistema climatico si sta modificando. E lo sta facendo sotto la spinta delle attività umane, che inviano in atmosfera una serie di gas che alterano l'effetto serra naturale (quel fenomeno al quale si deve se la Terra ha maturato condizioni favorevoli alla vita). Il riscaldamento globale è in corso dalla metà dell'Ottocento, ma negli ultimi decenni del secolo scorso ha accelerato il ritmo. Le temperature dell'estate del 2003 sono state le più alte registrate in Europa a partire dal Settecento, superiori anche a quelle dei secoli precedenti. Più alte perfino rispetto al 1998, che resta a livello globale l'anno più caldo dell'era cristiana, seguito da 2003 e 2002 a pari merito. E, quel che è peggio, gli scienziati spiegano che questa tendenza continuerà durante il XXI secolo. Quali saranno gli effetti sul sistema climatico? In che misura verrà colpito il pianeta? Quale sarà l'impatto su rese agricole, salute umana, riserve ittiche, consumi di energia, insediamenti urbani?

Nel Pacifico, la crescita del livello delle acque minaccia molti degli stati-isola (il cui territorio si “eleva” di pochi metri sopra il livello dell'oceano), tanto che gli abitanti delle Tuvalu hanno chiesto ad Australia e Nuova Zelanda di accoglierli nel caso dovessero abbandonare l'arcipelago. Gli Inuit, quelli che chiamiamo Eschimesi, stanno invece pensando di ricorrere alle vie legali per costringere le nazioni del mondo ad agire contro il riscaldamento che mette a rischio l'ecosistema artico e la loro vita. Sono due piccole storie rispetto alla vastità del pianeta e dei suoi abitanti. Ma se si verificherà anche una piccola parte degli scenari descritti dal rapporto del Pentagono, allora gli effetti del clima che cambia colpiranno tutti. E nessuno potrà dire di non essere stato avvisato.

 

 

 

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