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TEMPESTA GLOBALE
La nuova minaccia che viene dal clima
Bell A., Strieber W.
Rizzoli Rcs Libri , 2000
300 pagine, bianco/nero, no illustrazioni,
cop. cartonata, dim. 14 x 22.5 cm .
€12 
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UN ESTRATTO

Il primo segnale d’allarme fu talmente impercettibile da passare inosservato.
La boa 44011 del Centro dati nazionali boe (CDNB), ancorata al largo di Georges Bank, circa duecentosettanta chilometri a est di Hyannis, nel Massachusetts, sembrava emettere un segnale difettoso.
Nel resto del mondo nessun altro strumento scientifico indicò che due miliardi di persone si trovavano in pericolo di vita.

L’allarme sarebbe dovuto arrivare settimane prima, sarebbe potuto arrivare anni prima. Alcuni climatologi, piuttosto preoccupati, avevano avviato ricerche rivolte all’introduzione di un sistema d’allarme, ma non erano stati stanziati finanziamenti. Il Congresso, impantanato in una sterile discussione sull’esistenza del surriscaldamento globale, non intendeva sovvenzionare alcuno studio sul flusso della corrente nord atlantica, sebbene quest’ultima sia la linfa vitale del pianeta.

Ecco che cosa accadde al largo di Georges Bank: la temperatura dell’acqua rilevata dalla boa Nomad scese a un tratto da 9 a 2,5 C. Si trattava di una diminuzione improvvisa davvero considerevole, che indusse il CDNB a pensare a un guasto. Il problema fù segnalato, e all’interno dell’ufficio oceanico e atmosferico nazionale (UOAN) venne distribuito un bollettino secondo il quale i rilevamenti della boa in questione avrebbero dovuto essere ignorati fino al successivo intervento di manutenzione ordinaria.

Tra i destinatari della comunicazione nessuno si preoccupò del suo vero significato.
Dopo qualche giorno parve che si fosse guastata un’altra boa. Faceva parte del Sistema di osservazione oceanica globale, che trasmetteva informazioni al Centro dati oceanografici australiano (CDOA) da una stazione ubicata nell’Oceano Indiano a sud dell’Australia, a circa milleseicento chilometri di distanza dall’Antartide. Operando in base ai protocolli del Programma globale per il profilo della salinità e della temperatura, il CDOA trasmise le informazioni al Servizio dati sull’ambiente marino canadese. Ancora una volta, fu debitamente segnalato il guasto di una boa, ma il bollettino di manutenzione non raggiunse le stesse persone che avevano letto quello riguardante Georges Bank. Perché avrebbe dovuto? La manutenzione della boa antartica era compito degli australiani, non degli americani.

Al mondo così come lo conosciamo rimaneva ormai solo qualche settimana di vita.

Se fossero stati al corrente dell’accaduto, gli scienziati impegnati nell’Esperimento sulle variazioni del clima atlantico si sarebbero certo allarmati. Sta di fatto che il loro piano per lo sgancio di cento boe vaganti sotto la superficie marina, finalizzato allo studio della corrente nordatlantica, era ancora in fase di preparazione, in attesa di fondi.
Benché non vi fossero dati sufficienti ad annunciare che la maggiore corrente oceanica del mondo aveva appena modificato il proprio percorso, non occorse molto tempo prima che, da Sydney a Tokyo, da Vladivostok a Dusseldorf da Londra a Los Angeles, la gente si accorgesse che qualcosa non andava.

New York aveva conosciuto il febbraio più caldo della storia. Le temperature avevano infatti raggiunto il livello più alto rilevato per quel mese: 33 °C.

In passato la gente si sarebbe messa a ridere. Ora nessuno rideva.

Tutta la costa meridionale degli Stati uniti, da Brownsville, in Texas, a Cape Fear, nella Carolina del Nord, fu attraversata da una strana corrente d’aria proveniente da sud. Nel Texas meridionale le foglie giovani e tenere tremolavano sugli alberi carichi di germogli precoci. Nel Mississippi le antiche querce si agitavano e si piegavano. Lungo la costa della Carolina il vento fischiava nelle foreste di conifere. Nel Nordest caldo e brullo lo sbattere dei rami e il gemito delle grondaie ricordavano il freddo. Ma non faceva freddo, anzi, umidità e temperatura erano in aumento. Negli Stati Uniti era cominciata l’estate anche se il paese si trovava ancora nel cuore dell’inverno.
In Australia e in Nuova Zelanda accadde il contrario. L’estate australe, che era stata abbastanza normale per tutto gennaio, iniziò a mostrare segni di un cambiamento improvviso in febbraio, quando la neve prese a cadere sui monti dell’Isola del Sud in Nuova Zelanda. Auckland fìi stretta nella morsa di un freddo record. Più a nord, l’Australia continuò a essere oppressa da un caldo eccezionale, ma era evidente che ben presto la situazione sarebbe cambiata.

A Obninsk, presso il Centro di elaborazione dati meteorologici della Federazione russa, fu captata un ‘immagine proveniente dal flusso dati ad alta densità di un satellite ENVISAT che con fermò i rapporti degli osservatori terrestri: sulla regione artica russa si era formato all’improvviso un ciclone di natura davvero insolita. In precedenza solo di rado si erano osservati sistemi analoghi: il primo, che si era abbattuto su Duplin County, nella Carolina del Nord, nella notte del 15 aprile 1999, era stato soprannominato «tornadogano». Si era trattato di una massiccia supercella capace di produrre un tornado, contraddistinta dalle caratteristiche di circolazione di un uragano. Al suo interno i venti avevano raggiunto i duecentosessantacinque chilometri orari. Si era persino
formato un «occhio» in un’area vicina al punto di generazione del tornado.

Accorgendosi subito dell’eccezionalità del fenomeno, gli scienziati russi si rivolsero all’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM). Anche il Programma del satellite meteorologico cinese FY-1, in orbita sopra il Polo, seguiva lo sviluppo del ciclone. I tecnici inviarono un comunicato urgente all’OMM: l’energia potenziale disponibile collettiva dell’uragano sembrava crescere a velocità molto elevata.

Nessuno sapeva che cosa ci facesse lì un simile ciclone in quel periodo dell’anno, e tanto meno perché stesse accumulando tanta potenza.

In tutta l’Europa meridionale, da Madrid a Istanbul, prese a fischiare un forte vento secco proveniente da sud. A New York basse nuvole cariche di pioggia si rincorrevano da due giorni verso settentrione. Ad Atlanta la velocità media dei venti aveva raggiunto i cinquanta chilometri orari, a Houston i sessantacinque.

I meteorologi di tutto il mondo monitoravano la situazione. Fino a quel momento nessuno aveva tuttavia scorto un legame tra i fenomeni manifestatisi in diverse parti del pianeta. I rilevamenti erano ancora piuttosto circoscritti, anche se numerosi centri di ricerca
esaminavano i dati trasmessi dal satellite russo e da quello cinese.

Poi si scatenò un tifone nel Pacifico centrale; prese forma nel giro di qualche ora, più rapidamente di quanto avesse mai fatto un tifone. In meno di una settimana questo terribile ciclone minacciava le aree costiere dalle Filippine al Giappone. Fu classificato come ciclone di categoria 4 della scala Saffir-Simpson e definito un supertifone. Gli fu dato il nome di Max.

Riconoscendone la violenza straordinaria, il Laboratorio nazionale tempeste violente (LNTV) degli Stati Uniti cominciò a raccogliere dati da tutte le fonti disponibili. Vicino al centro del sistema le raffiche di vento superavano i trecentoventi chilometri orari. Su tutto il Pacifico vennero diramati bollettini meteorologici d’emergenza.

Nel frattempo, l’ufficio meteorologico australiano aveva osservato un altro tipo di sistema nelle acque extraterritoriali a sud e a ovest della Tasmania. La perturbazione si muoveva lungo un percorso del tutto inaspettato.

Ancora una volta fì4 contattata l’Organizzazione meteorologica mondiale. Quest’ultima, rendendosi conto che i dati riguardavano tre cicloni straordinari in diverse parti del mondo, chiese aiuto all’LNTV statunitense per cercare una spiegazione del fenomeno.

A causa dei venti che ormai sfioravano i trecentoventi chilometri orari Max passò alla categoria 5. Avrebbe potuto trasformarsi nel ciclone più violento di cui si avesse avuto testimonianza. Il «tornadogano» sopra la regione artica russa stava diventando parte di un sistema di cicloni molto simili tra loro che, a quanto pareva, andava formandosi pressappoco intorno al Polo Nord.

A Parigi la temperatura superava però i 32 0C. A New York e Toronto venti meridionali soffiavano a oltre sessantacinque chilometri orari.

La superpetroliera Exxon Invincible annunciò che stava imbarcando acqua al largo di Cape Race, in Terranova, e correva il rischio di spaccarsi in due. Fu dato l’allarme dal Terranova alla Carolina del Nord: l’area era minacciata dalla più estesa fuoriuscita di petrolio della storia.

A Dallas si riusciva a sentire l’aria salmastra del Golfo del Messico, a quattrocentottanta chilometri di distanza. A Londra la temperatura, che aveva toccato livelli record, aveva finalmente iniziato a scendere. In tutta l’Europa i temporali presero a ruggire e tuonare, e le notti di una cinquantina di città furono illuminate dai fulmini.

Ormai i climatologi e i meteorologi di tutto il mondo sapevano che il clima terrestre stava subendo un totale sconvolgimento. L ‘LNTV statunitense fu il primo a porsi il quesito fondamentale: perché?

 

 

 

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